C’è un grido di sofferenza che ogni giorno da più di un anno si solleva da quel vasto mondo che ha scelto da anni di affidare la propria mobilità al metano. Un grido fino a oggi troppo poco ascoltato. Cerchiamo di chiarire quanto è popolato questo mondo e come lo si potrebbe aiutare. ù
Le dimensioni del problema
Un camion alimentato con LNG o – ancora meglio – con bio-LNG costa qualcosa di più, ma taglia le emissioni inquinanti. Prova ne sia che, proprio per tale ragione, il governo ne ha sostenuto l’acquisto, concedendo incentivi che nell’ultima versione arrivavano a 24 mila euro. È stata una politica corretta, anche perché soprattutto rispetto alla versione bio del gas naturale poteva fornire un aiuto che, in un frangente segnato da riduzioni della materia prima (quella, tanto per intenderci, in arrivo dalla Russia, che si interromperà nella prima settimana di dicembre), poteva fornire un contributo nazionale all’approvvigionamento, in quanto “creato” nel territorio italiano e non importato dall’estero. Anche perché non parliamo propriamente di quattro gocce di carburante: i calcoli dicono che la produzione di biometano, laddove venisse dedicata interamente all’autotrazione, potrebbe coprire in Italia il 25-30% dei consumi di tutto il trasporto su strada di persone e merci entro il 2040.
Fatto sta che, nel momento in cui il prezzo di questo carburante è schizzato alle stelle, anche perché – come ha denunciato a Ecomondo Valerio Vanacore, responsabile trazioni alternative di Iveco mercato Italia – la quotazione della materia prima sottostante viene rimessa a dinamiche internazionali e spesso speculative, che poco hanno a che fare con il prodotto, tutti coloro che avevano investito nel metano, come detto, sono entrati in difficoltà. Parliamo complessivamente di circa un milione di veicoli leggeri posseduti primariamente da famiglie e piccoli imprenditori, di circa 4.000 veicoli pesanti impiegati per trasporto conto terzi, di 1.550 stazioni di rifornimento che erogano gas compresso, di 120 stazioni che erogano gas liquefatto, di 6.000 officine specializzate in veicoli a gas, di 30 impianti di produzione di biometano destinato all’autotrazione (150 MW).
In totale è un universo che interessa circa 25 mila lavoratori addetti nelle varie aree di interesse e ha alle spalle investimenti per circa 17 miliardi di euro.
Non si può dire che il governo se ne sia completamente disinteressato: di fatto ha ridotto l’Iva sugli acquisti al 5% e ha riconosciuto un credito d’imposta del 20% sulle spese sostenute per l’acquisto di carburante LNG per i trasportatori, che però non è ancora arrivato nella disponibilità degli interessati. Senza considerare che sarà compensativo soltanto in piccolissima parte, visto che l’incremento alla pompa del gas naturale liquefatto è stato del 226%.
Le proposte di Fedit
Per gettare una ciambella di salvataggio a questo settore in difficoltà la Fedit (Federazione Italiana Trasportatori) chiede un intervento più concreto e mirato al governo finalizzato a riportare il prezzo al pubblico del gas naturale per autotrazione ai livelli pre-crisi del gas (1 Euro/kg) attraverso le seguenti iniziative:
– valutare l’istituzione di un price cap sui prezzi dei distributori alla pompa
– ottenere un credito d’imposta sull’acquisto del carburante, per imprese e consumatori, relativamente al gas naturale liquefatto (in linea con il provvedimento preso nel 2022) con estensione al GNC.
– rendere i veicoli alimentati a biometano equivalenti (dal punto di vista degli incentivi) a quelli a elettricità (a batteria o a fuel cell ad idrogeno).
La posizione del vice ministro Rixi
Dal governo ovviamente non ci sono ancora risposte, ma può essere significativo riportare quanto affermato nei giorni scorsi dal vice ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, Edoardo Rixi, il quale intervenendo all’assemblea pubblica di Federchimica-Assogasliquidi ha detto a chiare lettere che «quando si parla di transizione ecologica e di sostenibilità ambientale non si può fare a meno del gas liquido e soprattutto non si può fare a meno di ragionare sugli approvvigionamenti per automezzi e impianti al fine di renderli ecologicamente sostenibili, ma anche economicamente convenienti». Proprio per questo – ha aggiunto Rixi –«abbiamo bisogno di investire sugli impianti per il Gnl nei porti. Per farlo servono norme stabili e la capacità del Paese di diversificare le fonti di rifornimento della catena logistica. Il mondo cambia in fretta e dobbiamo avere una macchina burocratica più agile, con norme adeguate alle sfide che questi anni ci impongono». Sulla carta sembrano concetti che vanno esattamente nella direzione corretta. Ma ora servono i fatti.