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Se il Covid-19 infetta i contratti di trasporto

Con l’emergenza coronavirus i traffici sono andati in tilt e gli stop e le code subiti dai nostri camion ai confini o ai porti, ci impediscono di lavorare al meglio. In questi casi di oggettiva difficoltà non c’è una maniera per tutelarsi o magari una clausola da aggiungere nei contratti o sui DDT per non restare esposti a eventi impossibili da controllare?
Matteo F_Bologna

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La diffusione del Covid-19 e le misure emergenziali adottare per arginarlo impattano inevitabilmente sul settore dei trasporti, non solo a livello operativo, ma anche legale e, nella specie, contrattuale. In un contesto così mutevole e così esposto all’incertezza del futuro, la certezza del diritto può comunque offrire dei punti fermi, pur nella consapevolezza della variabilità interpretativa e applicativa che il fenomeno susciterà in una prossima casistica giurisprudenziale.

La disposizione attorno a cui ruota ogni riflessione giuridica è l’art. 1256 c.c: «L’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile». L’impossibilità sopravvenuta delle prestazioni per effetto del factum principis (più nota come «forza maggiore») è riscontrabile per: eccessiva onerosità sopravvenuta; sopravvenuta mancanza di interesse a ricevere la prestazione; sopravvenuta impossibilità di ricevere la prestazione; sopravvenuta impossibilità temporanea di eseguire la prestazione; sopravvenuta impossibilità definitiva di eseguire la prestazione. In tali casi, dunque, il vettore non si può ritenere responsabile dei danni che la committente possa subire per una mancata esecuzione della prestazione o per un ritardo dovuto a un’oggettiva impossibilità temporanea. La giurisprudenza, poi, ha chiarito che la forza maggiore deve essere un impedimento assoluto, non superabile in alcun modo, frutto di un avvenimento straordinario e imprevedibile.

Il coronavirus, definito a livello sanitario come una pandemia, può considerarsi giuridicamente un’epidemia e, come tale, configurare a tutti gli effetti una causa di forza maggiore. Secondo la (scarsa) giurisprudenza in materia, gli elementi dell’epidemia (intesa come «malattia contagiosa che colpisce a un tempo stesso gli abitanti di una città o di una regione») sono: il carattere contagioso; la rapidità della diffusione e la durata limitata del fenomeno; il numero elevato di persone colpite, tale da destare notevole allarme sociale e correlativo pericolo per un numero indeterminato e notevole di persone; un’estensione territoriale di ampiezza tale da interessare un territorio vasto da meritare il nome di regione e, di conseguenza, una comunità abbastanza numerosa da meritare il nome di popolazione (T. Bolzano 13.3.1979).

Gli effetti giuridici del coronavirus sui contratti di trasporto in corso devono essere esaminati caso per caso, tenendo conto delle specifiche circostanze di viaggio, della misura di incidenza del fenomeno emergenziale su tutto o parte della prestazione, dell’assenza di soluzioni alternative per l’adempimento, della portata del testo contrattuale e della legge a esso applicabile.

In generale, per il nostro ordinamento, se la prestazione è ancora possibile, ma è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili, la parte che deve eseguirla può domandare la risoluzione del contratto, salvo che l’eccessiva onerosità non rientri nella sua normale alea (art. 1467, commi 1 e 2, c.c.).

Applicando tali principi nella realtà dei trasporti, si tratta di verificare se le lunghe soste degli automezzi alle frontiere o ai punti di carico, la ridotta disponibilità dei parchi veicolari, la messa in atto di protocolli di sicurezza nell’espletamento dei servizi o altre circostanze dettate dall’emergenza e dai correlati precetti normativi, impongano al vettore un sacrificio economico che rientra nella normale alea contrattuale o se denotino uno squilibrio tale da legittimare il rifiuto a eseguire la prestazione se non in presenza di un adeguamento tariffario.

Il concetto di «eccessiva onerosità» non è definito dal legislatore ma, secondo dottrina e giurisprudenza, va valutato alla stregua di criteri rigorosamente oggettivi e distinto dalla mera difficoltà di adempimento. Anche se, a differenza dell’impossibilità, l’eccessiva onerosità sopravvenuta non fa cessare in automatico il vincolo contrattuale, ma va accertata e la risoluzione dichiarata in giudizio. Così, contratti quadro di trasporto a lunga durata potrebbero legittimare una revisione tariffaria per ridefinire equamente le condizioni del contratto (art. 1467, comma 3, c.c.).

Diverso è il caso dei trasporti (spot o di lunga durata) da eseguire in vigenza dell’attuale situazione di emergenza: in tal caso, lo scenario in cui operano i contraenti è già definito e il vettore, se accetta la prestazione nei termini convenuti, non potrà invocare l’art. 1256 c.c. a meno che non sopraggiungano nuovi imprevedibili fattori. Qui l’imprevedibilità va valutata in modo oggettivo alla luce della situazione attuale, nel senso che – come insegna la giurisprudenza – l’impossibilità nell’adempimento contrattuale non può essere invocata se il factum principis sia «ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto dell’assunzione dell’obbligazione».

Il Covid-19 viene adesso menzionato nei contratti di trasporto mediante stipulazione di accordi che, con la previsione espressa di tale emergenza, esonerano il vettore da eventuali ritardi o inadempimenti. Naturalmente è una clausola modulabile con la libera autonomia contrattuale delle parti e consente di dare ai contratti un’agognata certezza, specificando che ogni rischio Covid-19 è causa di forza maggiore e che, per esempio, può sospendere un rapporto per un certo periodo o, per contro, prevedere maggiorazioni di tariffe.

Barbara Michini
Barbara Michini
Avvocato specializzato in trasporti
Scrivete a Barbara Michini: legalmente@uominietrasporti.it

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